Israele, Iran e Hamas, modi diversi di combattere
Quando si parla di azioni militari israeliane, il primo riferimento è quasi sempre Gaza. Piccolo, complicato, ma in fondo prevedibile. Con l’Iran, invece, la musica cambia radicalmente. Non siamo più di fronte al solito scenario, ma a una partita completamente diversa, un gioco a scacchi dove ogni mossa può portare conseguenze irreversibili.
Prima differenza: il nemico. A Gaza c’è Hamas, un’organizzazione terroristica certamente pericolosa ma dalle capacità militari limitate. Hamas opera in un territorio ristretto, densamente popolato, con armi artigianali, droni rudimentali e razzi facilmente intercettabili dall’Iron Dome. Per Israele, colpire Hamas significa condurre operazioni mirate, chirurgiche, prevalentemente terrestri, sostenute da una superiorità tecnologica assoluta. È difficile, sanguinoso, ma contenuto.
L’Iran, invece, è una potenza regionale: uno Stato sovrano con un esercito tra i più vasti e tecnologicamente avanzati del Medio Oriente. Missili balistici e cruise, droni sofisticati, sistemi di difesa aerea integrati. Teheran non scherza. Un’operazione contro l’Iran implica sfondare difese complesse, aggirare sistemi di radar e operare a migliaia di chilometri di distanza. Niente blitz rapidi con truppe d’élite che partono da Ashkelon o Tel Aviv: qui servono missioni di lunga gittata, con rifornimenti in volo, sofisticati sistemi di guerra elettronica e un margine di errore minimo. Un errore in territorio iraniano costa molto di più di una notte difficile a Gaza.

Poi ci sono gli obiettivi. Se a Gaza lo scopo di Israele è distruggere infrastrutture militari, tunnel e magari riportare a casa degli ostaggi, contro l’Iran parliamo di bersagli che vanno dal nucleare ai centri di comando missilistici, fino – almeno secondo alcuni analisti – alla destabilizzazione stessa del regime degli ayatollah. Insomma, si gioca una partita molto più grande, che può ridisegnare la regione intera, coinvolgendo potenze globali come gli Stati Uniti, la Russia e la Cina.
Ma la questione che più toglie il sonno ai generali israeliani è la risposta. Da Gaza arrivano razzi artigianali, spesso intercettati senza troppe difficoltà dai sistemi Iron Dome e David’s Sling. Con l’Iran, invece, il rischio di rappresaglie devastanti è reale e immediato: salve di missili balistici, attacchi coordinati tramite Hezbollah dal Libano, milizie sciite in Siria e Iraq, droni armati dallo Yemen, fino agli attacchi cibernetici capaci di paralizzare infrastrutture critiche israeliane. Durante gli ultimi scontri, Teheran ha dimostrato di poter saturare le difese israeliane, colpendo concretamente il territorio dello Stato ebraico con decine di missili. La sfida diventa così un confronto aperto tra la superiore tecnologia israeliana e la superiore quantità iraniana, in grado di assorbire perdite elevate e mantenere una pressione costante.
Infine, c’è l’impatto geopolitico, forse l’elemento più delicato di tutti. A Gaza, nonostante le tragedie umanitarie e le polemiche internazionali, il conflitto rimane limitato alla questione israelo-palestinese. Un confronto aperto con l’Iran cambia invece tutto, trasformando una crisi regionale in una potenziale guerra mondiale. Stati Uniti inevitabilmente coinvolti, Russia e Cina in allerta, rotte petrolifere sotto minaccia: uno scenario da incubo per qualsiasi pianificatore strategico.
Insomma, se con Gaza Israele gioca su un terreno familiare, con l’Iran è tutta un’altra storia. Più rischi, più difficoltà, più incertezza. Come scrisse Clausewitz, «la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi», ma quando si parla di Iran, anche la politica rischia di perdere il controllo. E questo, Israele, non se lo può permettere.