Srebrenica - L'inizio della fine
L’opera di pulizia etnica da parte dell’esercito della ex-Jugoslavia e dei gruppi di paramilitari serbi iniziò nel 1992 in gran parte della Bosnia. A posteriori è stato riconosciuto l’sudo di tattiche come guerra d’assedio, persecuzione con torture diffuse, omicidi, stupri, percosse, molestie, intimidazioni, trasferimenti forzati, confisca e distruzione di proprietà e distruzione di oggetti culturali come moschee o chiese. Nel comune di Srebrenica, prima della guerra, vivevano circa 37mila persone, tre quarti musulmani e un quarto serbi. Il capoluogo era un centro molto piccolo, non particolarmente prosperoso e abitato da circa 8mila persone. Le forze serbo-bosniache impiegarono ben poco tempo a prendere il controllo della zona. Gli uomini della città - quelli non serbi - fuggirono, vennero imprigionati oppure barbaramente uccisi, lasciando donne, bambini e anziani in condizioni proibitive di repressione. Uno dei primi problemi che la cittadina si trovò ad affrontare fu quello degli sfollati, un vero e proprio spostamento demografico che portò Srebrenica capoluogo a raggiungere quota 60mila abitanti, quasi il doppio dell’intera popolazione comunale. A dirigere la difesa del capoluogo vi era un’unità territoriale di cui Naser Orić era il comandante, che riuscì a resistere fino ai primi mesi del 1993, quando ci fu un primo annientamento della città, ridotta a pochi chilometri quadrati e verso cui gli aiuti umanitari delle Nazioni Unite stentavano ad arrivare.
Come si tentò di salvare Srebrenica
Gli Stati Uniti, venuti a conoscenza della situazione, spinsero per l’organizzazione di lanci aerei con derrate alimentari che potessero sfamare la popolazione. Questo diede effettivamente un po’ di sollievo ai cittadini rimasti che si trovarono però di fronte ad un intensificarsi degli attacchi dei serbo-bosniaci. L’11 marzo del 1993 il generale Phillipe Morillion dell’ONU, comandante delle forze armate in Bosnia, riuscì a fare irruzione nell’enclave. La sua doveva essere una visita momentanea ma i cittadini stessi di Srebrenica gli impedirono di andarsene sdraiandosi a terra davanti al convoglio che doveva riportarlo fuori. Le forze serbo bosniache annunciarono che avrebbero desistito da ulteriori attacchi solo se i residenti avessero ceduto le loro armi all’ONU demilitarizzando la zona. Un mese dopo, il 16 aprile 1993, scattò la risoluzione 819 dell’ONU che dichiarava Srebrenica come “zona sicura”.
La definizione di “sicurezza” era molto labile, non era ben chiaro se la forza potesse essere usata per proteggere le enclavi o se le truppe dei caschi blu potessero usare armi solo se direttamente minacciati e per autodifendersi. La realtà era che sebbene le truppe ONU avessero l’autorizzazione di “sparare” per proteggere le aree sicure, non c’erano abbastanza truppe per poterlo fare. La necessità era quella di avere almeno 34mila truppe schierate, ma inizialmente era possibile contare solo su 7600 uomini, diventati poi 3500 e di cui solo poche centinaia inviati a Srebrenica. Il mandato dell’UNPROFOR era chiaro:
Proteggere le popolazioni civili delle aree sicure designate contro attacchi armati e altri atti ostili, attraverso la presenza delle sue truppe e, se necessario, attraverso l’applicazione del potere aereo, in conformità con la procedura concordata
Le aree sicure erano assimilabili a dei ghetti etnici amministrati dall’ONU. Una volta che l’esercito serbo-bosniaco permise di nuovo ai convogli umanitari di arrivare via terra, i militari ebbero di nuovo accesso e controllo delle consegne. Talvolta chiesero anche parte delle derrate in cambio del loro passaggio per Srebrenica. Questo andò avanti per almeno altri due anni e mezzo, fino a quando la città cadde del tutto, nel modo più disastroso possibile.

L’inizio della fine
A maggio 1995 gli abitanti di Srebrenica iniziano a soffrire di malnutrizione, i convogli alimentari che riescono ad arrivare alla comunità sono sempre meno e questo mette a rischio l’accordo raggiunto due anni prima. Un funzionario delle Nazioni Unite ha dichiarato:
Si è trattato di una tattica deliberata usata dai serbi per indebolire la popolazione dell’enclave al fine di preparare l’area per un’offensiva finale; la progressiva negazione di cibo, acqua, elettricità e forniture mediche adeguate da parte dei serbi per un lungo periodo di tempo avrebbe dovuto essere vista come le vere fasi preparatorie dell’assalto di luglio all’enclave e sarebbe dovuta servire come segnale di avvertimento alla comunità internazionale che la cosiddetta “area sicura” delle Nazioni Unite di Srebrenica era in pericolo.
Margriet Prins, responsabile della logistica dell’UNHCR a Tuzla era conscia del problema, sapeva che tutte le enclavi sarebbero presto cadute, così avvertì il comandante delle forze di pace di non utilizzare le scorte umanitarie accumulate. Qualcuno pensò di richiedere nuovamente lanci dagli aerei per evitare il trasporto su gomma, ma gli USA non furono d’accordo, era diventato troppo rischioso per i loro piloti sorvolare le aree controllate dai serbi. Ad inizio luglio i caschi blu delle Nazioni Unite non avevano più nemmeno carburante per i loro mezzi e iniziarono a pattugliare le zone di loro competenza a piedi. Mentre i giovani soldati olandesi passeggiavano, la gente di Srebrenica si muoveva silenziosamente nelle discariche, setacciando ogni metro alla ricerca di cibo, per non morire il giorno seguente.
Ognuno dei caschi blu voleva andarsene. Erano così stanchi che iniziarono anche a venire meno ad ogni compito che era stato affidato a loro, limitavano persino il resoconto di eventuali movimenti che potessero suggerire offensive imminenti. Due giorni prima dell’attacco i militari serbo-bosniaci fecero entrare nell’enclave almeno 100mila litri di gasolio, anche questo segnale passò inosservato. A fine giugno iniziarono ad aumentare i proiettili destinati ai militari che assediavano Srebrenica, il 5 luglio 1995 le truppe serbo-bosniache contavano su 5mila uomini, cinquanta pezzi d’artiglieria e quindi o venti veicoli da combattimento. Quella fu una delle giornate più tranquille delle ultime settimane, non ci furono scontri, ma solo grandi movimenti.
Il 6 luglio 1995
Alle 3:15 locali, le forze serbo-bosniache lanciano un’offensiva su larga scala a Srebrenica. Posizionate a meno di due chilometri dalla città, iniziano prendere di mira obiettivi civili all’interno del perimetro. Non c’erano luoghi per assicurare un riparo alla popolazione, né vie di fuga. Le Nazioni Unite parlano di migliaia di detonazioni. 12 ore di fila di bombardamenti. Così iniziò la fine di Srebrenica e della sua umanità.